Un Exchange Traded Fund o ETF è uno strumento finanziario che come le tradizionali azioni può essere comprato e venduto all’interno di un mercato regolamentato (ad esempio quelli gestiti da Borsa Italiana).
Si tratta di un fondo che contiene un paniere di azioni, obbligazioni o altri strumenti finanziari. Questi strumenti finanziari sono riprodotti sulla base di un indice. Nella maggior parte dei casi quindi la replica è definita passiva.
Tutto questo si traduce in minori costi di gestione per l’investitore e quindi potenziali maggiori guadagni.
Questo articolo è parte di una raccolta di estratti della mia tesi di laurea. E’ approfondita la storia, le caratteristiche e molti altri elementi che potrebbero non interessarti: sentiti libero di usare l’indice qui sotto per muoverti più comodamente nella pagina. Buona lettura!
Parte 2: Come funzionano i fondi di Private Equity
Parte 3: ETF di Private Equity: il PE per piccoli investitori
Parte 4: Investire nel Private Equity: Analisi quantitativa con ETF
Gli indici: dalle materie prime agli ETF
Nel 1851, Paul Julius Reuter fondò la sua seconda agenzia di stampa nel distretto finanziario londinese diventando punto di riferimento nell’aggiornamento in tempo “reale” del valore delle azioni. Rispose infatti alla crescente domanda dei trader dell’epoca richiedenti a gran voce informazioni sempre più tempestive al fine di trarre profitto dall’anticipazione nel movimento dei prezzi.
Non fu solo P. J. Reuter e il suo telegrafo a rispondere a questa domanda. Già nel diciassettesimo secolo si assiste alla registrazione delle quotazioni di materie prime e altri beni: dai carichi navali di te a Boston ai prezzi del grano ad Amburgo.
Dalla registrazione sistematica dei prezzi alla creazione di panieri di valori si deve attendere la fine del secolo. Solo nel 1884 il Dow Jones Railroad Average Index ha visto la luce, un indice composto da 11 aziende nel settore ferroviario e 2 appartenenti al settore industriale.
Precursore del Dow Jones Industrial Average Index, considerato il più vecchio barometro del mercato azionario statunitense, il DJRAI fu creato su iniziativa di Charles Down, fondatore dell’omonima Dow Jones & Company e autore tra le altre cose del Wall Street Journal.
Dow mise a punto una soluzione, definibile pionieristica a quel tempo nonostante le critiche collezionate nei decenni successivi, per calcolare i movimenti di prezzo considerando simultaneamente le operazioni che le società costituenti l’indice potevano mettere in atto come la distribuzione di dividendi e gli split azionari.
Da qui la nascita degli indici: una metodologia per tracciare l’andamento aggregato di un gruppo di asset misurando le performance di un paniere di strumenti finanziari replicanti una certa area del mercato.
Questo può avvenire sia a livello di segmento industriale (Dow Jones Railroad Average Index, riferibile come visto al segmento ferroviario), di settore (Dow Jones Industrial Average Index, appartenente alla macro-classe industriale), di nazione (S&P 500 Index tracciante i 500 titoli statunitensi a maggior capitalizzazione), o globale (MSCI All Country World Index, un paniere di 2.939 azioni di paesi sviluppati ed emergenti).
Con l’informatizzazione del settore finanziario, sempre più indici sono stati resi disponibili agli investitori. Si noti che un indice costituisce una mera metodologia di calcolo e non uno strumento finanziario che permette di accedere al paniere sottostante.
Il primo modello teorico che permise di accedere alla replica di tali indici fu suggerito nel 1960 da Renshaw E. e Feldstein P. tramite l’idea della “Unmanaged Investment Company” (Justin F., 2011). Nonostante il poco supporto iniziale, questa teorizzazione diede vita ad una serie di eventi che portarono alla nascita di The Vanguard Group.
Si tratta di una delle più grandi società di investimento al mondo con 8.500 miliardi di dollari in Asset Under Management. John C. Bogle, fondatore di The Vanguard Group, nel 1975 infatti rese disponibile al pubblico il primo fondo comune di investimento a replica passiva: “First Index Investment Trust”, successivamente rinominato “Vanguard 500 Index Fund” tracciante l’indice americano S&P 500.
E’ bene ricordare che un fondo comune è una particolare tipologia di veicolo finanziario amministrato da una società di gestione che professionalmente alloca le risorse raccolte dagli investitori in azioni, obbligazioni e altri assets costituenti la dotazione del fondo.
Quando una società di gestione alloca le risorse sulla base di quanto dettato da un indice, senza interventi di discrezionalità, creando quindi una sostanziale coincidenza tra gli asset detenuti dal fondo e le proporzioni indicate dall’indice, si definisce tale fondo “index fund” o “fondo a replica passiva”.
È il caso del Vanguard 500 Index Fund appena presentato. Quando invece il gestore interviene attivamente, allocando in modo differente le risorse confluite dagli investitori al fondo, si definisce tale fondo “a gestione attiva”.
Solitamente le quote di un fondo comune a replica passiva possono essere vendute o rimborsate sulla base del valore degli asset detenuti al suo interno, denominato NAV o “Net Asset Value”. E’ determinato alla fine della giornata di contrattazioni borsistica. Non hanno quindi un “prezzo” di negoziazione in tempo reale stabilito dal mercato.
Per avere ciò si dovette aspettare 15 anni, arrivando al 1990, con la nascita del primo fondo comune quotato. Il primo ETF o Exchange Traded Fund fu infatti quotato al Toronto Stock Exchange, in Canada.
Si tratta di uno strumento che analogamente ad un fondo comune investe gli asset detenuti in strumenti finanziari. Offre inoltre la caratteristica aggiuntiva di essere negoziato sul mercato, tramite un meccanismo che permette una valorizzazione dinamica e istantanea in funzione del valore del sottostante.
Nel 1993 fu la volta degli Stati Uniti con lo “S&P Depository Receipts Trust Series 1” o più brevemente “SPDR”. I primi Exchange Traded Fund nel vecchio continente invece toccarono il suolo europeo nell’aprile del 2000 con Merrill Lynch International che portò “Euro Stoxx 50 ETF” e “Stoxx Europe 50 ETF”.
Dal 1975 quindi si assistette ad una crescita esponenziale di questi strumenti a replica passiva, in particolar modo degli ETF, forti dei costi contenuti, la facilità di diversificazione e la maggior liquidabilità dell’investimento, percepiti dagli investitori come aspetti cardine di questi strumenti.
Caratteristiche e funzionamento della replica passiva
Come appena visto un Exchange Traded Fund è uno strumento finanziario, simile ad un fondo comune, che comprende al suo interno azioni, obbligazioni o altri assets in proporzione tale da replicare le performance di un indice.
La differenza principali rispetto ai fondi comuni a gestione passiva la si ha nel fatto che il loro valore non è determinato al termine della giornata di contrattazione, ma in via continuativa sul mercato.
Per realizzare ciò la strutturazione di un ETF richiede la presenza di ulteriori soggetti oltre alla società di gestione e alla banca depositaria, tipici dei fondi comuni. Per garantire la liquidità sul mercato e la coincidenza tra NAV teorico e prezzo di borsa è richiesto sia un market maker che un ulteriore intermediario finanziario (banca d’affari, market maker o specialist che sia) denominato “Authorized participant”.
Si ricorda che, data la differente legislazione applicata nelle diverse giurisdizioni, sia a livello di singolo stato che sovra-nazionale, tali figure potrebbero essere accorpate in un unico ruolo o richiedere un’imperativa separazione.
In Europa, infatti, la figura dell’Authorized participant spesso coincide con il soggetto emittente, negli USA invece vi è una netta distinzione.
Sono di seguito brevemente analizzati i ruoli e le attività che questi soggetti pongono in essere per assicurare il corretto funzionamento di un fondo quotato:
1. Società di gestione/emittente
Ha il compito di selezionare la strategia di investimento del fondo, quindi l’indice al quale fare riferimento o i parametri di replica. Determinerà, nelle vesti di emittente dello strumento finanziario, la struttura societaria e la giurisdizione applicabile, nonché il relativo trattamento fiscale sulla base della domiciliazione del fondo.
Come si vedrà nella sezione successiva la maggior parte degli Exchange Traded Fund europei sono domiciliati in Irlanda o in Lussemburgo data una legislazione “investment-friendly”.
Non vi è ad oggi una normativa europea completamente omogena a tal proposito nonostante negli anni ci siano stati sviluppi in tal senso. Per ulteriori approfondimenti si faccia riferimento alla fattispecie del “passaporto europeo” e le direttive europee UCITS e MIFID.
La società di gestione si occuperà inoltre di dialogare con l’autorità di vigilanza e con i mercati per procedere alla quotazione e all’ordinaria gestione dello strumento.
2. Banca depositaria
La maggior parte degli ETF hanno una banca terza che agisce in qualità di banca depositaria di quanto apportato dagli investitori. Tale banca ha il compito di custodire e riconciliare le posizioni nel portafoglio, coadiuvando l’attività di ribilanciamento degli Authorized Participant.
La sua terzietà permette di evidenziare la separazione patrimoniale tra il fondo e quanto di diretta pertinenza della società di gestione. Al termine della giornata di contrattazioni determina anche il NAV.
Nonostante ciò, dato che gli Exchange Traded Fund sono negoziati nel mercato secondario in maniera continua, il valore delle quote fluttua riflettendo le aspettative degli investitori riguardo al portafoglio sottostante.
È quindi determinato un iNAV o “Intraday Net Asset Value” dato dalla somma tra valore del sottostante, comprensivo di componente di liquidità rapportato al numero di quote del fondo in circolazione.
3. Authorized participant
L’Authorized participant è un intermediario finanziario che si occupa di gestire il processo di emissione e riscatto delle quote dell’Exchange Traded Fund sia nel mercato primario, dove il rapporto è limitato all’emittente e all’Authorized Participant, sia nel mercato secondario, dove invece sono coinvolti anche gli investitori.
Si precisa che a differenza di quanto avviene per l’offerta pubblica iniziale di azioni o obbligazioni, dove l’IPO è, come già suggerisce il nome, episodica, nel caso degli ETF l’offerta pubblica assume carattere continuativo, in un processo di emissione e riscatto di quote al fine di bilanciare continuamente domanda e offerta.
In questo processo l’Authorized Participant acquista gli strumenti finanziari che il fondo detiene, consegnandoli all’emittente per il tramite della banca depositaria in proporzione a quanto determinato dal benchmark di riferimento.
La banca depositaria in cambio trasferisce all’Authorized participant un dato ammontare di quote del fondo in lotti, denominati “creation unit”. Queste creation unit possono essere cedute ad altri Authorized participant o suddivise per la successiva vendita agli investitori.
È possibile anche attuare il processo inverso procedendo a ritroso disassemblando le creation unit nel sottostante e procedendo poi alla vendita.
L’Authorized participant può quindi svolgere anche una funzione di market maker per il fondo quotato. In presenza di possibilità di arbitraggio tra il valore di mercato degli ETF e il valore di mercato degli asset sottostanti può emettere o riscattare quote portando alla coincidenza tra NAV teorico e benchmark di riferimento.
4. Market Maker
Tramite il mercato borsistico i market maker forniscono liquidità allo strumento finanziario quotato. Ogni market maker determina in via indipendente il fair value del fondo e si pone come controparte nella contrattazione.
La remunerazione di tale attività è data dal “bid-ask spread”, differenziale tra prezzo di acquisto e prezzi di vendita o da commissioni in capo all’emittente. Borsa Italiana ha calcolato a Febbraio 2022 un bid-ask spread medio per gli Exchange Traded Fund quotati nel mercato ETFplus pari a 0,15% (Borsa Italiana, 2022).
L’architettura qui presentata fa riferimento agli Exchange Traded Fund noti come “ETF a replica fisica”. Si contrappongono agli “ETF a replica sintetica” che prevedono l’utilizzo di contratti swap per la replica dei ritorni dell’indice.
Si noti che questi ultimi includono un rischio controparte offrendo però al contempo una replica pressoché coincidente con l’indice (Tracking Error nullo).
Le dimensioni del Mercato degli Exchange Traded Fund
I contenuti costi di gestione, la possibilità di replicare le performance dell’intero mercato rispetto all’investimento in singole azioni e i più elevati ritorni attesi se comparati ai fondi a gestione attiva hanno contribuito alla crescita esponenziale a livello globale di questa tipologia di prodotto finanziario.
Gli asset allocati in ETF a fine 2021 hanno raggiunto i 10.000 miliardi di dollari, dai circa 200 miliardi del 2003.
Se si guarda alla macro-classe della gestione passiva gli investimenti complessivi nel 2020 salgono al 21% degli Asset Under Management dell’industria, pari a circa 22.000 miliardi di dollari.
Di pari passo sono nati sempre più fondi quotati, anche tematizzati o con strategie di investimento definibili attiviste, arrivando a circa 8.550 unità. Un numero decisamente notevole se comparato ai soli 276 Exchange Traded Fund del 2003.
Sia gli Exchange Traded Fund azionari che obbligazionari, sulla base di quanto riportato dal Global Asset Management report 2021, redatto da Boston Consulting Group, hanno attese di crescita di circa il 9% annuo. La percentuale di ricavi, pari a circa il 6% dell’intera industria, si prevede invece costante.
Questo in particolar modo dati i bassi costi di gestione che gli investitori sono tenuti a sostenere rispetto ad altre asset class più redditizie, per le case di gestione, come Hedge Fund e Private Equity.
La distribuzione geografica è fortemente sbilanciata verso il Nord America, che conta più del 50% degli investimenti in ETF. Al contempo però l’Asia registra il più alto tasso di crescita nonostante investimenti in termini assoluti ancora marginali.
Anche nel mercato europeo i flussi di investimento continuano a crescere, sebbene ad un ritmo meno sostenuto rispetto alla controparte Nord Americana. Questo per varie difficoltà legate all’atteggiamento degli investitori e alla frammentazione geografica da cui derivano i conseguenti fenomeni di “dispersione di liquidità” in più mercati e di diversa regolamentazione.
Si registra un più elevato grado di penetrazione nel segmento istituzionale europeo. Gli investitori retail invece adottano tali strumenti solo nel 15% dei casi, contro il 45% dei colleghi statunitensi.
Fonti e approfondimenti
- Abner D. J., 2016, “An Overview of European ETF Market”, The ETF Handbook, How to Value and Trade Exchange-Traded Funds, Second Edition
- Borsa Italiana, 2022, “Febbraio 2022 – Bid-Ask Spread ETF”
- Browne R. M., 2017, “Chapter 27: Exchange‐Traded Funds. ETFs, An Overview”, The Capital Markets: Evolution of the Financial Ecosystem, di Strumeyer G. e Swammy S.
- Giraud J. et al, 2021, “Trackinsight: Global ETF Survey 2021”, Trackinsight
- Justin F., 2011, “The Myth of the Rational Market”, Chapter 7: Jack Bogle takes on the performance cult (and wins), HarperCollins
- Kula G. et al, 2017, “The History of Indexing and Exchange‐Traded Products”, Beyond Smart Beta: Index Investment Strategies for Active Portfolio Management
- Marszk A. et al, 2019, “Exchange-Traded Funds in Europe”, Elsevier
- https://www.borsaitaliana.it/etf/statistiche/analisideglispread/analisideglispread.htm
- https://www.investopedia.com/terms/m/mutualfund.asp
- https://www.investopedia.com/terms/i/index.asp